Sinalunga Storia - Nello Boscagli

 

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NELLO BOSCAGLI

Nello BoscagliPrimo Sindaco di Sinalunga del dopoguerra.

Il 29 Ottobre 2006 si è tenuta presso il teatro "Ciro Pinsuti" di Sinalunga la celebrazione del 60° anniversario dell'insediamento del primo Consiglio Comunale di Sinalunga in cui fu eletto Sindaco Nello Boscagli.

L'intervento dell'onorevole Ceccuzzi (DS)

“Nello Boscagli una vita per la libertà e la democrazia”

“Nello Boscagli è stato prima di tutto un uomo libero, convinto fino in fondo dei propri ideali e della proprie ispirazioni”. Con queste parole, Franco Ceccuzzi, deputato de L’Ulivo alla Camera ha ricordato la figura di Nello Boscagli, primo sindaco di Sinalunga del dopoguerra. La celebrazione del sessantesimo anniversario dall’insediamento del primo consiglio comunale democraticamente eletto nel paese della valdichiana si è svolta ieri, domenica 29 ottobre presso il Teatro “Ciro Pinsuti”.
“Forse i più giovani – ha sottolineato Ceccuzzi – non sapranno che un loro concittadino viene ricordato in mezza Europa come uno dei più grandi protagonisti di quello scontro ideologico, politico e bellico che contrappose le potenze mondiali nella prima metà del ‘900. Boscagli lottava soprattutto per la gente, per il popolo: lui contadino e figlio di contadini è l’esempio di una vita dedicata, in qualsiasi paese o condizione, alla causa della libertà e della democrazia”.
“In Boscagli – ha detto Ceccuzzi – ritorna il forte legame con la sua terra, Sinalunga, la Val di Chiana. Perché, se un uomo e i suoi ideali sono soprattutto il frutto del contesto sociale ed ambientale, è innegabile che lo spirito riformista, quasi un precursore, di questo territorio lasciarono un’impronta indelebile nel suo animo e nella sua formazione politica. Come Garibaldi – ha concluso Ceccuzzi – l’eroe che Nello Boscagli ricordava in più occasioni e che aveva scelto come esempio e simbolo della lotta popolare, ad un certo punto preferì mettersi da parte, serenamente, con semplicità. Convinto di aver dato il proprio contributo per la libertà e la democrazia ed altrettanto convinto che, nel bene e nel male, le aspirazioni individuali, nonostante le affermazioni ed i successi personali, non devono anteporsi alla volontà collettiva del partito e del popolo”.

Estratto da vari siti internet la ricostruzione, seppure parziale, della vita partigiana di Nello Boscagli.

Istituto Storico della Resistenza e dell'Eta' Contemporanea ''Ettore Gallo'' - provincia di Vicenza
Associato all'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia

Newsletter n. 27 del 10-4-2005 - LA NEWSLETTER DURANTE IL MESE DI APRILE

IL 29 APRILE A VILLA LATTES (VICENZA) SERATA IN RICORDO DI NELLO BOSCAGLI

Il senese Nello Boscagli, nato nel 1905, e' stato uno dei maggiori protagonisti della Resistenza vicentina. Comunista, emigrato nel '24 in Francia, chiamato nei primi anni Trenta a far parte dell'apparato del PCI in Francia, combattente della guerra di Spagna, resistente in Francia nelle file dei "franc tireurs", dopo l'8 settembre rientro' in Italia e fu inviato nel Veneto come istruttore dei GAP, per poi essere destinato dai comandi Garibaldini, nella primavera del '44, a ricoprire l'incarico di commissario politico della formazione partigiana che si era costituita nel gennaio a Malga Campetto e che il 17 maggio assunse il nome XXX Brigata garibaldina "Ateo Garemi" (per poi divenire dieci mesi dopo, "Divisione Garemi", articolata su piu' brigate operanti in una vasta area tra i Lessini ed il Trentino). Nella riorganizzazione delle formazioni Garemi attuata l'8 agosto '44, con la costituzione di due brigate, la "Stella" e la "Pasubiana", Boscagli assunse il Comando Gruppo Brigate, ruolo che tenne sino alla Liberazione. Subito dopo venne nominato segretario provinciale del PCI vicentino, carica che tenne per poche settimane. E' stato poi attivo nell'ANPI sia vicentina che padovana.
Per ricordare la figura di Nello Boscagli ("Alberto Spiaggia") le sezioni vicentine dei DS, di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani organizzano, per venerdi' 29 aprile, alle ore 20, 30, nella sede della Circoscrizione 6 (Villa Lattes, via Thaon di Revel) un incontro al quale parteciperanno Pietro Benetti ("Pompeo") che combatte' nella Garemi, l'avv. Lino Bettin (che durante la resistenza opero' nel padovano, per poi diventare uno dei maggiori dirigenti dell'ANPI vicentina), il dr. Francesco Urbani (gia' combattente partigiano) e Gino Maistrello (internato dai tedeschi in Polonia). ....

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LETTERE DALL'ITALIA 20-21 aprile 2002

Buona sera, amici! E’ con voi Giovanna. La settimana entrante l’Italia celebra la Festa nazionale del 25 Aprile. E’ una pagina della storia nazionale, una pagina che non si cancella quale che sia l’atteggiamento verso gli avvenimenti passati. Sono comunque avvenimenti che hanno avuto un ruolo decisivo nella sorte dell’Italia. Lo confermano le visite del Presidente Ciampi nei luoghi che ci avvicinano al 25 Aprile. L’amico di Schio - Vicenza Aldo Calgaro ricorda gli eventi di quei giorni nella sua citta’. “29 aprile 1945”. E’ mezzogiorno in punto, e sopra i tetti di Schio si leva possente l’urlo della sirena del Lanificio Rossi che solitamente scandisce la vita degli operai locali. Quel giorno pero’ il suono e’ il segnale che i partigiani appostati attorno alla citta’ attendono per passare all’attacco. La guerra e’ agli sgoccioli. Schio , da circa una settimana, funge da crocevia della ritirata tedesca. Migliaia di soldati si riversano verso Nord in cerca di salvezza e tra questi gli uomini della temibilissima I Divisione Paracadutisti, i “Diavoli Verdi” di Montecassino. Un tentativo di avviare una trattativa tramite monsignor Tagliaferro e’ fallito nei giorni precedenti, - ricorda sempre Aldo Calgaro. - I comandi partigiani sono anche divisi sul da farsi: prevalgono gli intenti dei capi locali che rinviano l’azione in considerazione della preponderanza delle forze nemiche e del pericolo di rappresaglia indirizzate verso gli impianti industriali. Il 29 pero’ la battaglia imperversa. Dapprima ai confini dell’abitato, poi sempre piu’ verso il centro, in via Pasubio, in Piazza Alessandro Rossi. I morti tra tutte e due le parti sono qualche decina, moltissimi i feriti. I tedeschi accettano di parlamentare e due emissari partigiani fanno il loro ingresso in Municipio tra due ali di ufficiali della Wehrmacht. Le trattative sono serrate e coinvolgono il Commissario Prefettizio e i rappresentanti del CLN. Alle 16 e 50 il capitano Magold a nome del colonnello Schrain per la I Divisione Paracadutisti e Nello Boscagli per la Divisione partigiana “Garemi” appongono le loro firme sul documento che sancisce l’accordo tra i due contendenti : i tedeschi sono liberi di allontanarsi a patto che si astengano completamente da effettuare ogni tipo di rappresaglia ed azione distruttiva nei confronti della popolazione e fabbriche. La colonna tedesca lascia velocemente la citta’ diretta verso il Trentino. La tensione rimane alta per la presenza di cecchini isolati e per l’arrivo di reparti della X Mas, la fanteria di marina di Borghese che intendono arrendersi solo agli americani. Ma ormai la citta’ e’ liberata e la gioia esplode accompagnata dal suono delle sirene e delle campane.” …

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TEDESCHI E PARTIGIANI, IL 29 APRILE 1945 A SCHIO Pubblicato sul Numero Unico, Edizioni Menin, giugno 2006

La liberazione di Schio (VC)

...... I combattimenti erano scoppiati al suono della sirena del Lanificio Rossi, quando già i tedeschi avevano cominciato le operazioni di sgombero della città. Eppure nei tre giorni precedenti erano andati in scena colloqui serrati tra le parti in causa, che sembravano portare ad una conclusione della guerra senza spargimento di sangue a Schio. L’impressione che si ricava dai documenti e dalle testimonianze è che entrambi i contendenti nutrissero un’enorme diffidenza reciproca e che tutti i protagonisti, una volta conclusisi gli eventi, avessero preferito più o meno glissare su quei tre caotici giorni di colloqui, per ragioni di opportunità, presentando quindi una versione dei fatti parziale e "di comodo".
Molto probabilmente, dunque, tra il 27 e il 28 aprile era stata raggiunta una sorta di primo accordo, come riferito dal maggiore tedesco Otto Laun (nel suo diario, pubblicato nel 1965-66) e dal vicecommissario prefettizio Diego Capozzo (in Corte d’Assise a Vicenza, sull’Eccidio del 7 luglio 1945, nel 1956), ma poi i partigiani, perché la situazione esterna aveva subito dei mutamenti o per altri motivi interni, non lo ritennero più valido. Forse, semplicemente, si aspettavano che i tedeschi se ne andassero subito dopo il raggiungimento dell’accordo («i tedeschi non sono ancora convinti di andarsene», dice la successiva testimonianza di Pietro Bolognesi), invece il maggiore Laun continuava a rimanere in città perché il suo compito di garantire il passaggio dei camerati non era ancora finito. Stava in effetti per concludersi, mancavano oramai solo poche ore, ma probabilmente i partigiani non lo sapevano. Nello Boscagli ("Alberto"), il comandante della "Garemi", aveva infatti deciso di passare all’attacco la sera del 28 aprile: attacco che non ci fu per l’opposizione di Valerio Caroti, e che dovette essere rimandato al 29 aprile, con l’esautorazione di fatto di "Giulio". ....

 

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Saggio di EZIO M. SIMINI nel volume "RIBELLI DI CONFINE - LA RESISTENZA IN TRENTINO"

..... Nel libro degli Atti del convegno tenuto a Borgo Valsugana (Trento) nel settembre 2001, uscito di recente, compare un saggio di Ezio M.Simini da titolo "Autunno 1944: le Garemi puntano a nord". Il testo di Simini prende le mosse da quanto accadde nella prima decade dell'agosto del 1944, quando la precedente situazione di equilibrio, esistente nella Brigata Garemi, tra quadri di formazione militare e quadri di formazione politica (prevalentemente comunista) venne rotto a vantaggio dei secondi e la formazione garibaldina, fortemente irrobustitasi nei precedenti mesi di giugno e luglio, assunse il nome di "Gruppo Brigate Garemi". Da quella decisione scaturì una strategia "espansionista" della Garemi, intesa ad agire su un territorio assai vasto, dalle colline del Garda sino al Brenta e sino al Trentino. Il saggio di Simini ricostruisce le ragioni strategiche militari e, con diversi accenti critici, anche quelle politiche del complesso di tale decisione, soffermandosi con particolare accuratezza su quelle Ð anche in questo caso prevalentemente militari, ma includenti motivazioni politiche Ð che sospinsero le Garemi a "puntare a Nord, al cuore dell’Alpenvorland". Con altrettanta accuratezza indaga i dissensi, che poi sfociarono in definitiva rottura, tra il comandante generale del Gruppo Brigate Garemi, Boscagli, e il comandante della Brigata "Pasubiana", il militare Andreetto. Scrive Simini che le crisi che in quel pericoloso e burrascoso periodo investirono le Garemi "non favorirono una tempestiva, programmata e meticolosa opera di penetrazione nell'Alpenvorland e quando finalmente le Garemi si assestarono nella loro struttura finale, la stasi imposta dai rigori invernali non consent“ di recuperare il tempo perduto". Insomma, nonostante alcuni successi parziali "le Garemi non riuscirono ad avere con tutte le formazioni sparse del Trentino quella funzione egemone cui ambivano e puntavano".....

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Pubblicato sul Giornale di Vicenza del 26 settembre 2006
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26/09/2006 :: Christopher Woods ripercorre i 9 mesi passati con i partigiani

... Domanda -Che rapporti avevate, invece, con un politico come Nello Boscagli, alias “Alberto”, comandante della “Garemi”?

Risposta -«Con “Alberto” abbiamo avuto relazioni personali ottime. È venuto a trovarci appena ha saputo del nostro arrivo sull’Altopiano di Asiago, ovviamente aveva interesse a servirsi del nostro aiuto. Per noi è stata una fortuna, perché è arrivato al Bosco Nero pochi giorni prima del rastrellamento di Granezza: aveva un’organizzazione efficiente e un servizio informazioni migliore degli autonomi. È stato “Alberto”, infatti, ad avvisare il maggiore Wilkinson che ci sarebbe stato il rastrellamento e a convincerlo a venire via con lui. Praticamente ha salvato la missione, con radio e radiotelegrafisti. In quei giorni, inoltre, ci ha promesso di preparare un posto per il nostro comando in una zona più sicura: il Bosco Nero non era adatto, l’Altopiano era sempre controllato e di facile accesso dalla pianura, invece la vallata di Posina era più sicura. Così il 10 ottobre abbiamo trasferito il comando sopra Laghi, in un vecchio edificio rustico. Più tardi abbiamo preso contatti con la famiglia dell’ingegner Perrone: la sua casa è diventata il luogo dove si tenevano le riunioni con i comandanti partigiani, un punto di appoggio molto prezioso»....


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Il Giornale di Vicenza, mercoledì 15 gennaio 2003
Il libro “L’ULTIMA VITTORIA NAZISTA”

...... Venerdì a Schio la presentazione della ricerca di Paolo Paoletti sull’orrendo massacro in Valdastico
“L’ultima vittoria nazista”: un titolo sferzante per quello che, di fatto, è il primo studio specifico pubblicato dal 1945 sulle stragi di Pedescala e Settecà. Citato o descritto in decine di testi, il tremendo eccidio che costò alla piccola comunità della Valdastico 82 vittime è stato ricostruito da Paolo Paoletti soprattutto attraverso gli atti della Commissione inquirente americana che indagò sui fatti nel giugno del 1945. I verbali degli interrogatori (interamente riportati in appendice al testo), condotti dal maggiore Thomas Johnson e dal tenente Sidney Asher con l’ausilio del tecnico Albert Moore come fotografo e del soldato George Foldes come interprete, sono stati utilizzati dall’autore, assieme alle relazioni partigiane dei Battaglioni della Divisione “Garemi” operanti in Valdastico, per tessere la trama di un massacro che alla luce della sua efferatezza non ebbe riscontri nell’Italia occupata. I criminali nazisti, ad esempio, infierirono sui corpi come mai avevano fatto nelle tante stragi perpetrate lungo la Penisola. Paoletti, dopo un accenno alle polemiche sulla medaglia al valor militare rifiutata dal Comitato vittime civili di Pedescala, analizza le premesse della tragedia, individuate negli accordi di uscita da Schio conclusi la sera del 29 aprile tra paracadutisti tedeschi e partigiani. Lo storico toscano definisce illogico dal punto di vista tedesco il testo ufficiale di quel patto (è chiamato in causa anche quanto scrisse Giuseppe Mugnone su un accordo diverso che garantiva esplicitamente libero transito per la Valdastico), e afferma che di fatto i tedeschi si sentivano garantiti nella loro ritirata verso il Trentino. In ogni caso di tale accordo, secondo Paoletti, non furono colpevolmente informate le Brigate “Pasubiana” e “Pino”. Questo fatto sarebbe stato dunque decisivo, assieme alla volontà di alcuni partigiani di sbarrare la strada ai tedeschi con le armi (diversamente si fece nelle ore precedenti coi russi collaborazionisti), per provocare la feroce reazione dei nazisti dopo che ebbero subito la conseguente, per loro inaspettata, aggressione. L’accusa ai vertici della “Garemi” ed in particolare al comandante “Alberto” (Nello Boscagli) -ma non mancano gli interrogativi posti sull’operato dei comandanti della “Pasubiana” e della “Pino”-, non mancherà di rinfocolare la mai sopita polemica sulle cause all’origine della strage. Dal punto di vista fattuale l’autore individua, in base alle sue fonti, due distinti episodi di fuoco indirizzati verso le truppe in transito. Il secondo a metà mattinata del 30 aprile provocò i morti tedeschi e una decisissima reazione, cioè l’assalto a Pedescala e la prima sessantina di vittime innocenti. Dallo scatenarsi della rappresaglia iniziale la Valdastico si trasformò quindi in un infernale calderone, teatro di un’accanita battaglia tra i partigiani appostati sui versanti e i tedeschi imbottigliati a fondovalle. Nella ricostruzione emerge che fu proprio il fuoco che li teneva inchiodati a spingere i tedeschi a tentare più volte l’assalto alle postazioni partigiane di Castelletto, per tentare di sganciarsi dalla Valdastico. Il fallimento e le nuove perdite (almeno un morto accertato) provocarono le 19 vittime della seconda fase della tragedia, vale a dire l’eccidio degli ostaggi di Forni, trasportati a Settecà, cioè più vicini al luogo dello scontro. Paoletti non risparmia quindi le critiche ai garibaldini che, nella sua ricostruzione, alimentarono ulteriormente la rappresaglia nazista. Assolve in toto, invece, gli autonomi dell’Altopiano, non coinvolti negli attacchi della mattina e chiamati a fronteggiare l’attacco tedesco. Rileva inoltre come le due stragi siano state molto diverse tra loro, trovando a proposito una risposta nell’esistenza di due reparti e due comandanti separati a Forni e Barcarola. Uccisioni ed incendi di case, secondo i testimoni, si protrassero per tutti e due i giorni in cui i tedeschi rimasero bloccati nei due gruppi di case. Solo alla sera del 1° maggio tre donne furono inviate da Forni a Castelletto con un messaggio: i tedeschi chiedevano il permesso di transito. Da questo episodio rimasto misterioso (il biglietto non fu più trovato), e dalla fuga impunita dei tedeschi avvenuta nelle prime ore del 2 maggio (la “vittoria” del titolo), Paolo Paoletti lancia la sua accusa più grave ai partigiani garibaldini: quella cioè di aver lasciato coscientemente fuggire i criminali tedeschi, senza continuare a tenerli inchiodati al terreno in attesa dell’arrivo imminente degli alleati o senza prendere prigionieri nel fondovalle o durante lo loro ritirata. Azioni -afferma lo storico fiorentino- presumibilmente dettate dalla volontà di evitare un processo, in cui ai partigiani sarebbero stati contestati le incongruenze coi fatti di Schio, gli attacchi ai nazisti in ritirata, il mancato salvataggio della popolazione. Nel capitolo dedicato alla ricerca dei colpevoli Paoletti assolve i russi (“partirono prima”) e i fascisti collaborazionisti (“non erano loro a decidere, ma contro di loro furono indirizzate le vendette della gente per coprire la mancanza dei veri colpevoli tedeschi”). La dichiarata impossibilità a individuare i nomi di chi si macchiò dell’orribile delitto e il loro reparto d’appartenenza è dall’autore fatta risalire, in conclusione, alla “sparizione”, attivamente o passivamente provocata, delle possibili prove: il biglietto delle tre donne di Forni recante il numero di posta militare dell’unità e i prigionieri mai presi in quelle drammatiche e convulse ore che hanno segnato, per sempre, la storia e la gente della Valdastico.

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Luca Valente
n° 15 del 16 settembre 2006
L’eccidio di Malga Zonta

… I giornali tornarono a parlare dell’anniversario in occasione del decennale, nel 1954. Relatore il comunista Nello Boscagli, presentato dall’"Alto Adige" (17 agosto) come "il popolarissimo comandante Alberto delle divisioni Garemi". La cronaca parlava ora dei "quattordici eroi di Malga Zonta", correggendo le cifre di dodici e poi di tredici fornite in fasi successive, e perpetuando ancora l’oscuramento dei malghesi uccisi insieme a loro.

… Accentuazioni polemiche di attualità si colgono anche nelle cronache della cerimonia del 1967, oratori ufficiali Boscagli e Canestrini. La prossimità della base missilistica metteva in fisica evidenza, per contrasto, il nesso tra Resistenza e lotta contro l’imperialismo americano ("Alto Adige", 15 agosto).

Il ricordo di Malga Zonta fra epica e lotta politica

La commemorazione del ventennale fu promossa da un comitato presieduto dal sindaco di Folgaria, Elio Valle. Le cronache misero in risalto una crescente partecipazione ("non meno di duemila persone"), alimentata ancora in massima parte dal Vicentino. Il relatore ufficiale era Ettore Gallo, il celebre giurista che era stato tra i dirigenti della Resistenza veneta. Un intervento di Boscagli, il comandante "Alberto", scatenò la reazione di Valle, che lo interruppe clamorosamente. "La cerimonia, commossa e austera secondo gli intendimenti del comitato, è stata purtroppo turbata dalla speculazione politica di un oratore comunista", scriveva l’"Adige" (18 agosto). L’"Alto Adige" prendeva atto con un certo stupore della presa di posizione del sindaco di Folgaria, secondo il quale "in una commemorazione come questa di Caduti, non si può permettere un intervento in questioni strettamente politiche’" (19 agosto).
Anche in seguito furono proprio "questioni strettamente politiche" ad animare l’appuntamento. L’anno successivo a fare scalpore fu Alberto Sartori ("Carlo"), uno dei personaggi più controversi della storia di per sé ricca di contrasti della "Garemi", di cui era stato commissario politico. "Carlo", in polemica con il suo vecchio partito, il PCI, fin dai primi anni ’60, fu uno degli animatori dell’area cosiddetta marxista leninista. Delle ripercussioni, e del taglio, del suo intervento abbiamo testimonianza in una lettera pubblicata nel memorabile libro autobiografico di Annetta Rech, "Una vita ai Morganti". Scriveva Sartori all’antifascista trentino Giovanni Parolari, nell’agosto 1975: "Ti basti pensare che, per il mio discorso di Malga Zonta del 1965, fu richiesta, da Roma, la mia espulsione dall’Anpi! Criticava quel centrosinistra che ora, dopo oltre 10 anni, persino la dirigenza del PSI considera un errore" (pp. 125-126).
Accentuazioni polemiche di attualità si colgono anche nelle cronache della cerimonia del 1967, oratori ufficiali Boscagli e Canestrini. La prossimità della base missilistica metteva in fisica evidenza, per contrasto, il nesso tra Resistenza e lotta contro l’imperialismo americano ("Alto Adige", 15 agosto).

Schio, maggio 1945: una gran folla si è radunata in piazza Alessandro Rossi davanti al palco delle autorità partigiane. Da sinistra a destra si riconoscono, in primo piano, Orfeo Vangelista ("Aramin"), vice commissario della Divisione "Garemi"; il capitano John Orr-Ewing ("Dardo") della missione inglese; Valerio Caroti ("Giulio"), comandante della Brigata "Martiri della Valleogra", col microfono; Sandro Cogollo ("Randagio"), commissario della "Martiri della Valleogra"; Nello Boscagli ("Alberto"), comandante della "Garemi". Dietro a Caroti, a sinistra Bruno Redondi ("Brescia"), comandante del Battaglione "Apolloni" e vice comandante della "Martiri della Valleogra", a destra Elio Busetto ("Guglielmo"), vice comandante della "Garemi"; dietro a Busetto Riccardo Walter, membro del nuovo governo cittadino. Sotto il palco al centro, infine, Anna Costenaro ("Olga"), la staffetta.

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